Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione.
Il progetto Luoghi del Dialogo è stata una esperienza di grande profondità ed intensità, che ci ha permesso di metterci in gioco e affrontare gli ostacoli di un reale cambiamento comunitario a partire dalle relazioni.
Spesso si sente parlare della funzione rieducativa della pena. Il più delle volte questa finalità è messa in secondo piano e la pena diventa una mera privazione della libertà, all’interno di una istituzione purtroppo carente che non da reali possibilità di cambiamento alle persone detenute. In Italia però, ci sono anche delle realtà meno conosciute, come la Casa di Reclusione di Massa, in cui lo scopo rieducativo, il reinserimento, il sostegno al cambiamento, camminano di pari passo al bisogno di sicurezza.
Il carcere dovrebbe essere un luogo in cui si da la possibilità alle persone detenute di diventare consapevoli delle conseguenze dei loro comportamenti, di imparare nuove modalità di comunicare, gestire le emozioni, costruire relazioni positive, dove si incentiva la possibilità di dare un contributo alla società e riscattarsi. Ma come può avverarsi questo se nel luogo della pena si continua a sperimentare la “violenza”, nel senso che i bisogni fondamentali di ognuno (di detenuti, personale e operatori) continuano ad essere espressi con strategie fallimentari e distruttive?
La maggior parte delle incomprensioni e delle conflittualità in carcere derivano da modalità comunicative disastrose che si concludono in escalations di rabbia e di risentimento.
Portare la Comunicazione Nonviolenta in carcere significa provare ad interrompere questo tipo di incomprensioni per agevolare la creazione di un ambiente empatico e non-violento in cui tutti possono avere degli strumenti per ascoltare i propri bisogni e quelli dell’altro, con la capacità di inviare e ricevere dei “No”.
Ci siamo stupiti e commossi quando, negli incontri con le persone detenute e in quelli con il personale e gli operatori, seppur nella diversità di ruolo, sono emersi in parallelo gli stessi bisogni: rispetto e dignità.
E se comprendiamo che a muoverci sono gli stessi bisogni che sono universali, possiamo provare ad ascoltare veramente l’altro e costruire relazioni positive che permetteranno il vero cambiamento.
La Comunicazione nonviolenta diventa così uno strumento nelle mani di una comunità e che, nel corso del tempo può agevolare una rieducazione che parte dalla comunità stessa, in un carcere che diventa luogo di dialogo, di proposte, di scambio.