“Nella sua definizione tradizionale, la giustizia riparativa può essere considerata come un modello di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni operative in risposta alle conseguenze prodotte dal reato, allo scopo di promuovere la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo.
Secondo la giustizia riparativa (o relazionale, come viene talvolta definita) l’obiettivo principale verso cui dovrebbe tendere qualunque intervento è quello di recuperare le relazioni nelle quali è avvenuto il danno. Comprende un insieme di pratiche che mettono la vittima al centro della risposta alla criminalità e, allo stesso tempo, tendono a responsabilizzare l’autore/autrice sugli effetti delle sue azioni. Questo modello di giustizia nasce negli anni settanta del novecento con lo strumento della mediazione tra vittima e autore del reato, per poi svilupparsi negli anni novanta in un modello di intervento più ampio che include l’intera comunità nella gestione e riparazione del danno.
Se la commissione di un reato crea una frattura tra la persona autrice dell’illecito e la società nella quale lo stesso è avvenuto, l’intervento deve occuparsi anche di quella relazione e di riparare la frattura sociale.
Nello specifico della giustizia formale, il modello riparativo sollecita/esige responsabilità e re-include nella vicenda penale sia la vittima che la collettività. Attraverso la realizzazione di progetti che prevedono una riparazione attiva dei danni e una gestione partecipativa del conflitto, viene messa in primo piano non solo l’interazione autore-vittima, ma anche il rapporto tra la norma e una risposta sociale in grado di considerare le conseguenze materiali, psicologiche e simboliche dell’azione deviante di tipo criminale. La finalità del modello di cui stiamo discutendo, che certamente include la mediazione del conflitto, si muove oltre questa possibilità per attuare una negoziazione tra le parti, che sia mirata al cambiamento del reciproco modo di percepirsi/rapportarsi e alla realizzazione di nuove modalità sia di assunzione responsabile dell’azione commessa sia delle diverse possibilità di reagire alla stessa.
La persona autrice di reato viene riconsiderata come soggetto cui chiedere di rispondere degli effetti negativi dell’azione commessa; la vittima (anche in un senso esteso di collettività) come principale interlocutrice cui riferire le azioni restitutive poste in essere. Ma la vittima è anche, soprattutto, la persona con il suo carico di sofferenza, di dolore per l’esperienza vissuta nel reato e in ciò che gli consegue nella vita di ogni giorno e in tribunale. E quanto più grave è il delitto, quanto più forte e profonda la sofferenza, più si rende necessario che una risposta riparativa sappia intercettarla. Non necessariamente, non principalmente, con la finalità di una mediazione diretta, ma perché quella esperienza possa essere elaborata nella maniera più funzionale per sé, come persona e come parte sociale.”
Tratto da:
Patrizia Patrizi, Giustizia e pratiche riparative. Per una nuova giustizia di comunità